Contributi Critici Saveart

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MARIA TERESA ILLUMINATO

Quand’ero bambina o forse già giovinetta, ora non ricordo, trovai un nido di vespe cartarie e ne rimasi totalmente affascinata.
Decisi così di eleggere la carta a materiale privilegiato della mia ricerca artistica.
Mi piaceva la sua fragilità e la sua resistenza, la sua leggerezza e la sua duttilità.
Dopo, poco a poco, sono venuti tutti gli altri materiali e ho scoperto di essere attratta, addirittura affascinata dai materiali, dalla loro trasformazione, dalla loro straordinaria disponibilità.
Tuttavia ciò che costituisce il fulcro archimedeo di questa proposta che si muove, diversamente da tante altre pur egualmente attrattive è altro.
Innanzi tutto SAVEART, in quanto espressione e rispecchiamento del fare di un artista è un movimento trasversale o multidisciplinare che si muove a 360 gradi, andando a implicare non soltanto il fashion ma anche il design, l’editoria, la grafica, lo spettacolo, la scenografia e la coreutica, e dunque il teatro e tutte le sue manifestazioni artistiche.
Finalmente l’arte in ogni sua possibile declinazione.
Questa sfida, questo perno archimedeo su cui stiamo facendo forza per sollevare il mondo dei rifiuti e restituirgli umanità e naturalità, in fondo muove da un mio profondo amore per la natura.
Per preservare la natura credo non si debbano costruire barricate e piuttosto penso si debbano creare altre e nuove occasioni, sempre nuove opportunità di azione tesa al riscatto e al rovesciamento di ogni negatività in positività.
In questo modo i cosiddetti rifiuti diventano risorse così come sono già memorie. E si torna forse a rivedere il mondo con gli occhi degli artisti, per dirla con Goethe.
Ho voluto brevettare un nuovo tessuto ricavato da manipolazione programmata di scarti tessili non solo per garantire a questo nuovo materiale una propria esistenza ma anche per suggerire al mondo produttivo e industriale, tutte le straordinarie potenzialità, tutto l’aiuto che potrebbe derivargli dal coinvolgimento degli artisti.
E’ forse venuto il tempo, ed è con emozione che lo penso, per una nuova rivoluzione che susciti una solidarietà, un’aggregazione allargata, una complicità fra tutti, tutti coloro i quali condividono le nostre passioni e le nostre preoccupazioni, soprattutto coloro i quali condividono i valori e le potenzialità che possono scaturire da un fare creativo.
Sì, credo davvero che sia maturo il tempo di una nuova rivoluzione creativa.
E solidarietà, aggregazione e complicità alla base di SAVEART sono alla base anche del gruppo di colleghi e studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera che insieme a me hanno lavorato e lavorano per l’attuazione di un progetto di recupero ambientale all’insegna della creatività e dell’arte.
Dall’idea all’oggetto, insomma quanto c’è di meglio per il creatore che si trova saldamente unito alla propria creatura da un legame razionale e creativo insieme.
A ben considerare la sfida che ho proposto e affidato a SAVEART ha duplice focus: da un lato vi è il lancio di questa rivoluzione estetica, dall’altro lato vi è piuttosto il vincolo della condivisione e dunque di un costante allargamento a una intera collettività di artisti, giovani e giovanissimi come gli allievi di Brera, più maturi come i colleghi e gli operatori visuali che hanno già alle spalle un proprio personale percorso, affinché l’istanza sociale si sommi e contamini a quella estetica e ne discenda una diversa e nuova valenza esistenziale, una nuova strategia educativa o formativa, una nuova risorsa per la società civile.


CRISTINA MUCCIOLI

SAVEART si presenta come connubio tra estro e creatività da un lato, ricerca teorica, scientifica e umanistica dall’altro.
Un bilinguismo che inaugura un nuovo modo di comunicare con il pubblico e con la comunità scientifica e tecnologica, necessaria a garantire la compatibilità ecologica in ogni singolo passaggio e ingrediente creativo.
Da questa inedita collaborazione tra figure professionali ordinariamente separate e quasi antinomiche scaturisce la stesura del Manifesto artistico che, un po’ provocatoriamente, parlando di necessità di restituire all’artista il “maltolto”, ha intuito le potenzialità del creativo contemporaneo di essere non solo un soggetto estetico, ma un operatore culturale in grado di diffondere con una rivoluzione decisa ma gentile, a colpi di bellezza e di colori, messaggi etici e risolutori di una situazione che rischia di aggravarsi a causa della nostra imperdonabile assuefazione massmediatica.
Anche questo significa portare l’arte in laboratorio e i laboratori nella casa delle Muse, negli atelier, nelle Accademie.
SAVEART dà quindi peso specifico a un impegno artistico, ambientale e formativo.
La contaminazione è una delle modalità della sua esistenza e funzione, sempre nella piena salvaguardia di obiettivi etici ed estetici.
Metamorfosi e contaminazioni di saperi, culture, memorie e materie.
SAVEART è Movimento perché muove, nel senso più autentico e primigenio della parola.
Muove le idee e la capacità dello sguardo di intravedere in un anonimo scarto, uno scrigno di possibile bellezza.
Per questo SAVEART piace e coinvolge e ha all’attivo ben 15 eventi, di cui due patrocinati dal Programma Ambiente delle Nazioni Unite, dal Ministero per i Beni Culturali e da Legambiente Italia.
Con circa 500 opere e 1000 sostenitori il Movimento si è fatto conoscere e riconoscere in diverse città fregiandosi di prestigiosi gemellaggi come quello con l’Università di Pittsburgh.
E’ quindi con gioia che mi pregio di invitare tutti a partecipare alle iniziative del movimento SAVEART impegnato ad operare a 360 gradi, studiando una strategia di comunicazione globale che dia risalto sociale ed economico al futuro e sostenibile modus vivendi, in piena riconciliazione con una Terra che ci è Madre.


ROLANDO BELLINI

La concezione del mondo dipende dal punto di vista di chi guarda.
L’agire nel mondo dipende dal punto di vista che si ha su di esso.
Maria Teresa Illuminato ha saputo guardare all’arte, al mondo, ai rifiuti da un punto di vista rivoluzionario.
Emula in questo del magnifico Durrenmatt che ebbe l’ardire di scrivere, o meglio riscrivere, la mitica storia di Teseo e il Minotauro dal punto di vista di quest’ultimo, provocando così uno straordinario rovesciamento prospettico. Non più Teseo, il mitico e cinico eroe che ucciderà il mostro, ma il povero e derelitto bestione che cerca disperatamente compagnia, comprensione, finalmente amore e che si lascia uccidere non riconoscendo nell’eroe il suo giustiziere.
Quest’inconsapevolezza commovente del Minotauro era forse suggerita, assai malignamente, al grande scrittore da ciò che egli pensava e viveva o forse subiva con indicibile insofferenza, di quella mentalità meschina dei suoi concittadini che tanto spesso egli ha condannato e irriso.
Ne è derivata una storia straordinaria e suggestiva, un’assoluta invenzione narrativa, che ci consente di penetrare nel labirinto in modo affatto inedito e di viverlo-vederlo con altri occhi.
Tuttavia mi pare che nessuno abbia ancora raccontato questo mito dal punto di vista del filo di Arianna ed è forse questa, invece, l’occasione.
Di che cos’era fatto quel filo, di scarti ecologici?
E chi era Arianna, Maria Teresa Illuminato?
Nel seguire, passo passo, la raccolta dei “materiali”, la loro manipolazione e finalmente la loro trasposizione-trasfigurazione in altro da sé, qui puntualmente documentata, effettivamente parrebbe possibile trovarsi proprio al seguito di questo singolare filo d’Arianna.
Quel filo che ci porterà, sani e salvi, fuori dal labirinto costituito, nella nostra storia, dalle discariche che stanno soffocando l’intero pianeta. L’emergenza rifiuti che va mobilitando tutte le possibili forze e ogni risorsa, trova in questa occasione del tutto particolare e anzi unica una risposta nuova, perché creativa.
Lo dico a Maria Teresa e lei ribatte proponendomi la lettura di due agili testi, l’uno di Gilbert Sinoué (A mio figlio all’alba del terzo millennio. Viaggio nella distruzione del mondo), l’altro di Guido Viale (Un mondo usa e getta. La civiltà dei rifiuti e i rifiuti della civiltà).
Tenta insomma Illuminato di sfuggire al riconoscimento della propria personale unicità.
Sennonché, questa sua creatività è tanto indiscussa quanto eclatante. Difatti chiunque vada ad esplorare la nuova galassia SAVEART, troverà che vi è qualcosa di diverso in essa, qualcosa di speciale e unico derivante dallo stesso operare di Maria Teresa. E così non potrà essere negata a questa sua proposta creativa e aggregativa, che fa riflettere, l’aura magica dell’arte.
Fa dunque riflettere e provoca emozione e volontà di azione, questo movimento fondato da Maria Teresa Illuminato a cui finalmente partecipano, oggi, oltre cinquecento giovani operatori. Il fatto è, mi dice Maria Teresa, che bisogna educare a un “fare” i nostri studenti, gli allievi dell’Accademia delle Belle Arti di Brera, sommando estetica a operatività, progettualità ad etica. Certo, questa è la sfida di tutti noi ed è il senso e il sapore del sapere che viene impartito all’interno del multianime laboratorio braidense.
Questo è anche ciò che può cancellare quel topos, non solo letterario ma anche esistenziale, del rifiuto come destino e destino di un intero universo mondo, per dirla con Vico.
Mi sovviene un’intera letteratura che va da Oscar Wilde a Marcel Proust o a Elias Canetti e parimenti mi sovviene l’ostinato e semplice e puro filare perpetrato, come fosse una preghiera, dal Mahatma Ghandi.
Per quest’ultimo quel suo filare era parte integrante del riscatto di una umanità tutta intera ed era anche un gesto di libertà, di dignità e ricchezza, perché dunque non vedere anche in questa raccolta sistematica di “rifiuti”, nella loro trasformazione, nel loro reimpiego all’interno di un progetto creativo di ampio respiro, perché non vedere pari dignità?
L’uomo, sosteneva Kant, ha bisogno di sogni e desideri tanto quanto di concetti assiologici per alimentare le proprie fragili e tuttavia inflessibili certezze, che ne fanno l’abitatore più invasivo e pericoloso dell’interno pianeta.
E nel contempo l’ospite più straordinario.
Ecco allora che questa operatività creativa che trasforma i “rifiuti” in “risorse”, i materiali di scarto in nuovi e pregevoli materiali da collezione, le forme consumate, sfinite, distrutte e svuotate di ogni loro possibile funzione in nuove abbaglianti e vitali forme, ecco allora che tutto questo può rinnovare e riscattare quest’umanità invasiva.
Non è facile liberarsi dei rifiuti, eppure SAVEART, il movimento creato da Maria Teresa Illuminato, nei suoi particolarissimi termini, vi riesce assai bene.
Riesce pure ad aprire nuovi orizzonti e nuove opportunità di riscatto per l’intera galassia delle discariche che ci circondano. Illuminato, resasi conto che non può più sottrarsi, sembra accettare la sfida che vado proponendole e inizia a raccontarsi. A suo modo, naturalmente Idealmente Maria Teresa è ora seduta sulla sua opera-sedia e inizia a raccontare.


GIANCARLO MAIOCCHI

UNPOMERIGGIOD’ESTATETORRIDO… Milano, Luglio un venerdì caldo,molto caldo. Studio in penombra per non permettere al sole di arroventare le pareti della stanza. Martina (Mortina è il suo nick name) mi sta facendo vedere un cd d’immagini scattate nella sala di posa della scuola, le immagini si susseguono veloci sullo schermo: accanto a foto di donne che indossano vestiti a prima vista strani, ci sono foto di particolari molto ravvicinati di oggetti che andranno, lo si capisce, a comporre gli abiti. Questi stll life sono eccezionali perché mi fanno capire che la fotografia continua a mantenere il suo misterioso fascino, riesce ancora a sorprendere per la capacità che il fotografo ha di fare ricognizioni in un mondo invisibile ai più e di raccontare storie di paesaggi e forme e cose che l’occhio non avvezzo non percepisce. Ci vorrebbe un caffè ma il bar dista un mare d’asfalto di fuoco, le auto passano frusciando con gli pneumatici che si sciolgono, immagino che arriveranno al primo semaforo sui cerchioni. Martina mi racconta che l’ Accademia di Brera e l’Istituto Italiano di Fotografia hanno collaborato sul progetto di Ecodesign, chi per progettare abiti con materiale da riciclo, chi fotografando il risultato di questo lavoro. Le foto sono sotto ai miei occhi: telaietti da diapositiva 35mm. cuciti insieme,carte di caramelle,dischi di ferro, bende e polistirolo, francobolli usati e vecchi supporti magnetici per stereosette…. Il percorso scelto dagli studenti di fotografia per lo “still” sembra unilaterale: l’indagine si sofferma su frammenti e piccoli particolari di materiali che si trasformano in grotte di ghiaccio, in tappeti, in tane di animali sconosciuti… Altri scatti sembrano analisi scientifiche,alla ricerca della perfezione nella riproduzione della materia. Sembra di assistere, da protagonisti, ad una scena di C.S.I.” Questa bustina di tè usata è stata ritrovata nella camera della vittima che prima di buttarla ha provato a tesserla con altre per ricreare un tessuto molle ed umido” Il silenzio, ‘chè a parlare si sente caldo, viene interrotto da un brano dei Sepoltura, Martina ne è una fan, la musica riempie lo spazio di suoni e voci graffianti e grondanti energia allo stato puro, le chitarre si spezzeranno sotto i colpi violenti dei suonatori e, prima o poi, gli amplificatori esploderanno creando una vertigine musicale ed un spostamento d’aria che annichilerà tutti. All’improvviso uno,due, tre abiti da sposa, bellissimi, eleganti e raffinati solo come una giovane donna,conscia del suo stato privilegiato sa essere. Un Kimono indossato da una finta geisha che guarda in macchina,quindi lo spettatore, con quell’aria indolente, quell’ombrello che si chiude che pare prometta storie morbose, future. Un’abito di capelli veri, una maschera di gomma, qui sfioriamo leggeri il feticismo; una donna istrice piegata su se stessa ci sfida a seguirla nel suo mondo o preferirà lanciarci aculei per tenerci lontani?. Un’ abito costruito con bustine di zucchero:”sai quelle che trovi nei bar”. Non è indossato,l’unico. Un guscio vuoto in perenne attesa davanti ad un tavolino bianco nella sospensione temporale della fotografia: chissà chi riuscirà a rompere questo equilibrio? Una ragazza lancia in aria gli strumenti che sono serviti per tessere il suo abito di filo di ferro, moderna regina d’Itaca all’arrivo del proprio Ulisse, altre ragazze saltano gelate dal flash… Ecco potremmo scaricare i cubetti di ghiaccio dal frigo, metterli in un fazzoletto ed appoggiarlo alla fronte come faceva mia madre quando “sentiva” che avevo la febbre, dovremmo inventarci qualcosa per contrastare quest’afa milanese, dovremmo dedicarci di più a tutto ciò che aiuti la natura a sopravvivere a noi:bestie senza riconoscenza… Una fotografia mi attrae improvvisamente: una ragazza sembra uscita dal Piper, l’immagine è in bianconero e sembra fatta nei ‘sessanta, buffo! sembra Avedon che fotografa per Vogue Donyale Luna con gli abiti di Paco Rabanne o Jean Shrimpton per Courreges, persino i capelli, e la posa, una foto caduta dalla macchina del tempo e rifletto che la fotografia continua nel suo percorso contemporaneo anche riproponendo, a volte, se stessa come in una casa di specchi, come in quell’altro abito fatto di pellicola fotografica tradizionale coi fotogrammi saturi di altre immagini: un’abito fatto da diapositive fotografato con una macchina digitale: è questo, quindi, il destino compiuto della fotografia? Attraversare se stessa reinventadosi per rimanere uguale? E’ tardi, le ombre si sono allungate ed il sole ha smesso di abbattersi su Milano, persino un refolo di vento che ti sembra che usciti di qua ci troveremo davanti al mare. La sera, seduti sulla sabbia, ora fresca, a raccontarci.